Una favola etrusca al MAEC
Una favola etrusca al MAEC
“…ti vedevo fotografata su tutti i muri, tutti i vicoli di Cortona mi parlavano di te…”
Ovunque i manifesti del busto di terracotta, che rappresentava Arianna, la moglie di Dionisio, dio della vendemmia (Fufluns per gli Etruschi, Bacco per i Romani), ritrovata nell’800 presso l’antica Falerii, oggi Civita Castellana, lo annunciavano ospite del MAEC.
I ritrovamenti archeologici sono un “qualcosa” di prezioso perché testimoniano la vita dell’uomo antico, ma quando si sposano con un recupero, che è anche una magnifica opera d’arte, rappresentano l’unicum.
Ero affascinata dal busto, lo osservavo, lo studiavo e cercavo di entrare nelle vibrazioni invisibili che lo circondavano per decifrare i messaggi incorporei che la mente dell’artista aveva impresso nel suo lavoro.
Avevo di fronte una bimba adolescente con un corpo acerbo, ancora inconsapevole della sua splendida femminilità. I seni apparivano gonfi con un capezzolo verginale ed erano celati dagli strati delle vesti.
Nel III sec.a.c. era stata scelta la fanciulla più bella della comunità di Falerii per passare alla storia divinamente ritratta con un gusto ellenico.
Era stata agghindata di fiori e frutta, di gioielli preziosi, di vesti pregiate, acconciata come una dea affinché apparisse simbolo di prosperità ed auspicio di buona vendemmia.
Era un vero genio l’uomo di Falerii che aveva lavorato la creta elevando questa tecnica per la raffinatezza dei particolari.
La lavorazione dei panneggi della veste ricordava quella di un Angelo del Bernini, la pelle vellutata dei collari di Venere era riconducibile ai marmi del Canova, i capelli che decoravano la figura del viso rammentavano le pettinature botticelliane, le guance adolescenziali mi richiamavano alla memoria Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia ed il palpitare del sangue sotto la pelle l’incomparabile scalpello di Michelangelo.
Ma quello che mi aveva colpito di più era stata la bocca imbronciata della donna ancor bimba, che l’artista aveva colto nel manipolare la morbida argilla. Quella piccola musa non era vanitosa e probabilmente non desiderava posare le ore per un uomo che neanche conosceva.
Quella fanciulla, eretta a divinità in un breve spazio temporale, aveva passato le ore con lo sguardo perso nel vuoto ad invidiare le amiche che nel contempo lavavano i panni alla fonte chiacchierando tra loro….
I pensieri della musa e dell’artista mi giungevano nell’aria attraverso i secoli, quelli delicati ed ingenui di una bimba che non si rendeva conto di essere ritratta come una dea e quelli del genio che avrebbe voluto avere un marmo di Pietrasanta da scolpire e non un mucchio di terra da manipolare…
Roberta Ramacciotti
Pubblicato L’Etruria 2011