“Ieri” sono stata ospite nel Salotto di Gino Severini al MAEC di Cortona
“Ieri” sono stata ospite nel Salotto di Gino Severini al MAEC di Cortona
Quando desidero rigenerarmi passeggio nelle meravigliose sale del Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona. Osservo, mi porgo delle domande, è una “palestra” per il mio cervello ed esco più ricca di idee. Ieri sostavo nella Sala Severini del MAEC, quando l’autoritratto a matita del Maestro pensieroso, catturava la mia attenzione. In passato mi ero studiata di fronte ad uno specchio e quello che provavo approfondendo il disegno, era un progressivo distacco da ciò che avevo di fronte, quell’essere non ero più io. Chissà se anche lui aveva provato la stessa sensazione! Così Gino Severini si osservava, ma quello che sentivo illusoriamente, era il suo sguardo sulla mia persona. Provate a sostarci anche voi! Lasciarsi andare, liberare i sensi per raccogliere anche le più piccole sfumature alimenta la propria sensibilità. Allora ho cominciato a giocare ed a dialogare con il suo sguardo chiaro. Il suo segno era puro. E’ sempre affascinante studiare i disegni perché sono il cuore del lavoro del pittore. Dal tratto, dal segno, intuivo che per Severini la consapevolezza di essere Artista non lo aveva mai reso egocentrico rispetto ai suoi cari. Ancor oggi i cortonesi lo ricordano come una persona molto cordiale. Guardavo anche le altre grafiche riservate alla sua famiglia. Una particolare cura l’aveva riservata al ritratto della nonna, che dedicava nel 1903 al proprio babbo. L’aveva disegnata di profilo. Mi rammaricavo di non poter conoscere il suo sguardo: era una donna di altri tempi, invecchiata dalle fatiche e dai dispiaceri. Matriarche come lei conservavano, con il loro pudore, intatta l’intimità della loro personalità fino alla morte. Severini disegnava i soggetti che ritraeva con amore, riflessione ed attenzione, penso si creasse degli scrupoli nei loro confronti. Il capolavoro del classicismo severiano è testimoniato dalla notissima e tenera Maternità del 1916.
Lo riguardavo, gli sorridevo, mi complimentavo con lui e passavo alla parete delle composizioni in tecniche miste: tempere, pastelli e carboncini. Qui il genio si svelava. Il mio sguardo saltava da un quadro all’altro e mi sembrava di sentir cambiar musica perché ognuno possedeva la sua colonna sonora. Ero come di fronte a tanti schermi televisivi che trasmettevano contemporaneamente concerti diversi. Sembra difficile a dirsi, ma in fondo è avanguardia delle più serie e meditate. Prima il Severini studiava la tradizione, il vissuto, ciò che era stato percorso, poi selezionava il tutto per scomporlo scientificamente, non sempre per dissacrarlo, ma ciò era necessario per rinascere a nuova vita, a nuove idee. Era una raccolta di creazioni cubo-futuriste, dove sarebbe riduttivo riconoscere i singoli movimenti. Si esprimeva a “tutto tondo”, in un unico insieme di concetti. Lui era quell’artista italiano che aveva coniugato con più naturalezza le culture nuove che si respiravano tra la nostra Nazione e la Francia. (Nasceva a Cortona il 7 aprile 1883, moriva a Parigi il 26 febbraio 1966. Le sue spoglie sono presenti nel cimitero di Cortona). Agli esordi della sua carriera di artista, il Maestro condivideva con Giacomo Balla a Roma, le sue prime importanti esperienze del Divisionismo. Rappresentava “il vero” con gli effetti della luce del sole posata nell’aria e riflessa sugli oggetti. Poi l’Impressionismo a Parigi, dove annotava immediatamente le sue impressioni sulla tela con la gestualità estemporanea del pennello. Poi nel periodo del Cubismo scomponeva e ricostruiva da perfetto scultore, gli oggetti come le persone collocandole nelle sue profondità illusorie. Sezionava gli oggetti per ricavarne una dimensione tridimensionale nella quale, però, non perdevano il loro vigore espressivo: un occhio triste, una languida bocca.. Restituiva sulla tela, la sua “visione d’artista” una sezione fotografata del suo cervello. Era futurista prima ancora di firmare il Manifesto scritto da Marinetti (primo movimento d’avanguardia italiano che capitalizzava nell’arte una partecipazione ideologica) per il “nuovo ruolo” che dava agli oggetti. Era capace di rappresentare visioni e suoni: il vortice di un’elica nel mare, lo sferragliare delle rotaie di un treno, il peso del fumo nell’aria, il vociare della gente. Nel mondo moderno dava loro un’altra storia, li dissezionava per ricomporli diversamente con ritmi ancora diversi, impegnati a volte in torsioni barocche dove l’aria diventava terra e l’acqua aria. Penso che ogni suo segno doveva avere un calcolo matematico per il completo equilibrio espresso nel suo lavoro. Era un grande architetto della pittura ma è nell’Espressionismo classico, con la tecnica del mosaico, che l’amore per l’arte gli cattura l’anima. Il Maestro apparteneva alle generazioni che hanno vissuto in Europa i due conflitti mondiali, l’Olocausto e le grandi trasformazioni sociali. Era un uomo che cercava la pace per se e per il suo prossimo. Erano sue le parole: “in Dio un riposo, in Cristo una guida, nella Chiesa un sostegno”. Attraverso i soggetti religiosi, come nei capolavori della Via Crucis e del San Matteo a Cortona, esprimeva la sua ambizione di essere un semplice cristiano. Molti dei suoi capolavori, ci appaiono ora di stile classico, ma al tempo non doveva essere così. Immaginiamoci nel secolo scorso come poteva essere interpretato lo studio al MAEC del “Pulcinella Arlecchino e Colombina in Concerto” nei volti dei personaggi imprimeva il fiato metafisico che anche De Chirico esprimeva nei suoi manichini con altre quinte teatrali. Ero nella sala del MAEC di fronte alle due composizioni polimateriche della serie L’Age industriel (1964) che richiamavano lontane sperimentazioni dell’epoca precedente la Grande Guerra. Erano assemblaggi di oggetti della sua quotidianità, riconoscevo in esse organi meccanici, una squadra da disegno, un tachimetro, una sua foto, un frammento di una sua tempera.. Severini aveva un suo codice cifrato che si sta qualificando ancora nel tempo. Attualmente siamo in grado di tradurre le visioni astratte del Maestro, ma all’epoca erano avveniristiche e per molti lo risultano tuttora. Al tempo in Europa governavano monarchie e dittature ed i concetti di democrazia erano a dir poco rivoluzionari. Guardando i quadri del Severini si impara a capire come il cubismo, il puntinismo, il futurismo fossero già tutti lì all’inizio del suo percorso. Per il Maestro il movimento dei ballerini che dipingeva nello spazio, rappresentava il dinamismo. Scattava pose d’incanto e non “giggionava” mai, annotava sempre qualcosa di nuovo. 40 anni fa, al Teatro dell’Opera di Roma, assistevo alle magnifiche coreografie di Bejar, e nelle pose dei ballerini riconoscevo gli studi del Severini. Non è necessario che gli artisti si debbano conoscere fisicamente per condividere delle tendenze. Respirano nell’aria le particelle che li avvertono dei cambiamenti. Le metamorfosi circolano nelle loro menti, le captano prima dei politici, degli economisti degli scienziati. L’Arte, insieme alla filosofia sono il termometro e la medicina per curare l’anima delle diverse realtà sociali. Tutto questo, ed altro, vorticava nei pensieri del Severini. Il colore per lui era volume e le sue scelte cromatiche risultavano dei raffinatissimi accostamenti. Nella stazione del Divino Consolatore, della Via Crucis di Cortona, il bimbo con il dito in bocca e la donna con l’orecchino rosso, inginocchiata che piange al passaggio del Martire, presentano nei disegni geometrici delle vesti l’anticipazione delle maglie della moda di Missoni “prima maniera”. Severini ha fantasia sente il nuovo, lo ha già dentro. In più di un’occasione gli amici mi hanno espresso candidamente il desiderio di comprendere le “Cose Astratte”, ho provato a spiegarlo:
“E’ sera, sono raccolta intorno al tavolo con un’amica. Una lampada bassa illumina le nostre chiacchiere e diffonde contrasti di luci e di ombre anche tra gli oggetti che ci circondano. La stanchezza segna i visi. Ci osserviamo, abbiamo espressioni cariche. La fatica stessa deforma la nostra vista. Proviamo a disegnare gli occhi con la sagoma di un pesce,, le labbra con la forma del cuore ed il naso della nostra amica potrà diventare un triangolo. Si può continuare con il taglio dei capelli, la forma dei seni, quella della pancia … Poi l’ombra dietro di lei, una sagoma illusoria collocata dietro il suo corpo, segna una nuova e diversa sezione dello spazio di fronte a noi. La nostra sensibilità, al momento, sceglierà il piano di osservazione ed il punto focale. Se verrete rapiti solo dagli occhi della vostra amica, saranno in primo piano sul foglio bianco, se invece sarete catturati dalla sua misteriosa personalità, la sua ombra prenderà forma e protagonismo nel disegno. Infiniti sono i modi per ritrarre una scena perché ognuno di noi è differente e questa diversità moltiplicherà le possibilità di vedere milioni e milioni di opere diverse”.
Nei lavori di Gino Severini si avverte l’odore del pesce, il ronfare del gatto, lo strofinare ritmico delle scarpette dei ballerini sulle assi di legno del palcoscenico. Mentre studiavo le sue opere mi sforzavo di scoprire il percorso dei suoi pensieri mentre le componeva e mi sono chiesta più volte, se prima fosse nata in lui l’intuizione matematica o la fantastica ed artistica visione d’insieme.
Nel Maestro si saldano rigore ed originalità, passato e contemporaneità. Il talento, l’efficienza ed il successo sono racchiuse nella sua vita. Dal tempo che ho dedicato all’anima dell’arte di Gino Severini, nelle sale del MAEC di Cortona, sono nate delle vere e proprie ricognizioni che ho avuto il piacere di condividerle con voi tutti …
Pubblicato giornale L’Etruria 15.08.2012
Roberta Ramacciotti