KOAN QUINTET Al Teatro Signorelli una commedia recitata da Musicisti Jazz
KOAN QUINTET Al Teatro Signorelli una commedia recitata da Musicisti Jazz
Il 29 dicembre dello scorso anno al Teatro Signorelli si è tenuto un concerto jazz patrocinato dal Comune di Cortona e dall’Accademia degli Arditi, due partners sempre disponibili ed attenti a cogliere e proporre iniziative di ottimo livello culturale.
Il gruppo jazz è formato da Milko Ambrogini (drums), Francesco Santucci (saxes e flauto), Max Tempia (hammond e keyboards), Andrea Tofanelli (tromba e filicorno) e Lele Veronesi (drums).
Il concerto è stato presentato, in chiave informale, da Santucci che ha svolto gli onori di casa, essendo un “cittadino cortonese acquisito” e dalle prime battute musicali la sala è entrata subito in sintonia con gli artisti. Il jazz è un folclore moderno musicale nato oltreoceano, nello scorso secolo. Una delle sue caratteristiche è l’impatto immediato che suscitano gli accordi all’ascolto del pubblico e dei musicisti stessi. Essi partono con un tema, ma a volte basta una strizzatina d’occhio, un sorriso che questo spesso, non viene rigorosamente rispettato e comunque viene riadattato dagli strumenti, in diversi schemi ed accoppiamenti elaborandone diverse conclusioni. Un carosello vitale, a volte dirompente altre di struggente ed inaspettata delicatezza, introspezione e lettura a prima vista.
Il jazz è un mondo decisamente maschile, ma credo, “una volta tanto”, che noi donne siamo ben felici di ammirare questa stupenda poesia che descrive sensazioni metropolitane, come lo stridio di una frenata improvvisa, lo scrosciare della pioggia sul cemento, il passaggio di una metropolitana, il fumo che ti acceca la vista, il sapore amaro dell’alcol quando lo bevi per vizio, i rumori di modesti condomini, l’angoscia di una vita che vuole esprimersi fra l’enormità di una città, che ha innescato il suo “tram tram” e, che, per te solo, non lo fermerà mai.
Il jazz è tutto questo e molto di più. Francesco Santucci di giorno passeggia con il suo cane per il Parterre e con il suo strumento la sera declama delicate poesie dai sentimenti combattuti e nostalgici.
Max Tempia, ghiaccio bollente, con le sue tastiere elabora sani e ricercatissimi virtuosismi che danno spessore alla trama della rappresentazione, Andrea Tofanelli si distingue per il suo coraggio che esprime sperimentando, persino in scena, note impossibili, il risultato è eccellente perché in esse, sono descritte tenebrose e nascoste solitudini ed allo stridio degli acuti riserva la dolcezza più pura ed il pubblico premia la sua generosa e continua ricerca. Maturo e paziente Milko Ambrogini, catturato e partecipe anche lui nel vortice della simpatia del complesso, sa di avere un ruolo chiave anche se non scenico, infatti è la voce sensuale degli strumenti. Complimenti a lui per l’espressione creativa che è riuscito a comunicarci nonostante quello che il suo difficile strumento gli offre.
Infine ho lasciato per ultimo Lele Veronesi, il batterista che è stato il vero regista del concerto. Non me ne vogliano gli altri, perché so maturi per riconoscere questo dialogo. Sono tutti prime parti, suonano insieme, soli, si rincorrono, duettano e si divertono, ma Lele accetta ed ha compreso tutti i singoli messaggi. E’ stato raffinato, soffuso e tenero con il bassista, complesso e contrappuntistico con le tastiere, concertistico con i fiati, è bravo, istintivo uno psicologo musicale. Non ha mai abbandonato il gruppo, neanche nei momenti di crisi, esorcizzando qualche inevitabile stecca catturando subito lui l’attenzione del pubblico, a favore del malcapitato. In un concerto di questo tipo e calibro, momenti difficili ne esistono e si vivono ma è interessante vedere come i KOAN QUINTET si siano messi in discussione. Sono musicisti che hanno una padronanza totale degli strumenti, non hanno età dentro la scena, e vederli lavorare e gioire insieme sul palcoscenico, sono stati un esempio di vita.
Ognuno di loro possiede una forte personalità, si acconciano e vestono stili differenti, scherzano e parlano diversamente, sono belli perché hanno mantenuto viva l’originalità delle loro persone e non ci provano neanche a somigliarsi per nascondersi nel gruppo, non si mimetizzano, si piacciono e piacciono per le loro diversità.
Per questo hanno avuto la capacità di recitare un movimento musicale complesso come è il jazz di fascino indiscutibile.
Roberta Ramacciotti